Ecco perché è importante riaprire gli asili, favorendo la didattica all’aperto, nei parchi, nei cortili condominiali. Senza vita sociale, l’emergenza sanitaria rischia di diventare, per i più piccoli, un’esperienza traumatica
di Cinzia D’Alessandro(Presidente del Comitato Nazionale EduChiAmo)
Qualcuno ha fatto caso al fatto che non si parla dei bambini e di come stanno vivendo la drammatica condizione di reclusione e annullamento delle relazioni sociali a cui sono sottoposti da quasi due mesi? Chi si sta pre-occupando di evitare che l’emergenza sanitaria diventi un’esperienza traumatica? Di prevenire gli esiti perniciosi di paure e fantasmi angosciosi? Di valutare e, se possibile, di scongiurare o almeno alleviare i rischi di ripercussioni sulla loro sensibile psiche derivanti dal carico emotivo che inevitabilmente assorbono dagli adulti, per quanti sforzi questi facciano di contenersi davanti ai loro figli. Sono invisibili i bambini, come troppo spesso accade. In questi giorni, ci si ricorda di loro soltanto per definire i dettami della didattica a distanza, quindi comunque dai sei anni in su - e sempre che i genitori abbiano tempo e strumenti per assisterli in questo. Del resto, il passato ci insegna che i bambini sono i dimenticati, nelle tragedie che costellano la Storia dell’umanità.
Eppure è ormai noto che proprio loro, i bambini, sono capaci di resilienza ben più di noi adulti. Abbiamo testimoni viventi della loro straordinaria capacità di sopravvivere alle tragedie e ricostruirsi dopo il dolore: su tutti, Liliana Segre - bambina sopravvissuta all’Olocausto che ha avuto la capacità, di tornare dall’inferno e ri-diventare donna, e poi moglie, madre, nonna e modello di una cittadinanza sana ed esemplare; e, accanto a lei, Silvia Vegetti Finzi, che in «Una bambina senza stella» ci dà una lezione magistrale sulla resilienza dei bambini, sulla capacità che il cervello infantile ha di trovare soluzioni compensatorie e riparatrici del presente e di riscrivere la narrazione del vissuto, persino nelle privazioni della guerra. Che i bambini, con il loro saper attingere alla risorsa del pensiero magico e all’innata attitudine al superamento degli ostacoli, costituiscano un modello per gli adulti è indubbio; ma attenzione: questo non significa che attraversino sofferenze e privazioni indenni.
Sarebbe ipocrita e falso affermare che i bambini non stiano pagando un caro prezzo per l’innaturale condizione di clausura cui ci troviamo costretti: non hanno gli strumenti per trovare spiegazioni razionali al repentino cambio di vita che li ha travolti, eppure ne vivono tutte le tensioni. «ll loro interesse si rivolge a quegli adulti che sanno conservare un grano di fanciullezza, perché con essi possono condividere paure e speranze», dice Silvia Vegetti Finzi nel suo libro; ma gli adulti stessi sono stati travolti da un mondo che prima sembrava loro immutabile e certo, e invece non lo era e non tornerà mai più uguale. Gli adulti stentano ad accettare la drasticità del cambiamento, e così i bambini rischiano di non trovare in loro uno specchio sufficientemente valido, al quale poter ancorare la propria capacità immaginativa e riparatrice. Come può il bambino accettare consapevolmente il fatto che gli altri bambini, i suoi amici sono diventati potenziali pericoli e lui deve starne lontano? Che le educatrici e gli insegnanti stanno bene, ma sono disponibili per lui solo attraverso uno schermo? Che non può riabbracciare i nonni - e solo nei casi più fortunati limitarsi a salutarli dalla finestra? Il pensiero magico può diventare un’arma a doppio taglio, laddove nell’onnipotenza del pensiero infantile ogni cosa dipende da loro, anche le peggiori.
I bambini hanno bisogno che la narrazione dell’esperienza in corso porti con sé la speranza di un futuro prossimo, nel quale i loro bisogni occupino il primo posto. Devono sentire che i genitori possono progettare futuro, e che sia un futuro percorribile. Ed è percorribile quel futuro che sia scaturito da attenta analisi dei bisogni dei più piccoli da parte di chi governa. Invece, si parla di riaprire attività ma non i luoghi per i bambini, accrescendo così l’angoscia delle famiglie, consapevoli che i figli non potranno essere affidati ai nonni né ad alcuno. Girano voci che i nidi e le scuole d’infanzia potrebbero aprire tra sei-otto mesi, e si palesa l’impossibilità per i piccoli di tornare ad avere una vita sociale, sottovalutando cosa questo significherebbe per la strutturazione della loro personalità, per il loro benessere psicofisico.
L’ipotesi di un distanziamento sociale protratto per mesi non è percorribile: le ripercussioni sullo sviluppo dei bambini sarebbero ben più gravi della potenziale esposizione al virus. Va pensata per loro la concreta possibilità di farli tornare a una vita sociale, con adulti capaci di offrire una progettazione quotidiana che tenga conto di misure adeguate e rispettose dell’emergenza. Si può pensare a favorire la didattica all’aperto, autorizzando gli asili a vivere le giornate nei parchi, nei giardini pubblici e nei cortili condominiali, facendo cadere i muri che hanno portato la nostra società ad abituarsi al silenzio delle vocine gioiose e trasformando la pandemia in una epifania dell’infanzia. Soluzioni concrete esistono, e molteplici, solo se, in mezzo a tanto vociare, si presta ascolto al silenzio che sale assordante dai «non detti» dei nostri bambini. Fermiamoci a osservare ed esaminare con attenzione i loro incubi, i risvegli notturni, i disegni, i giochi simbolici, specchio tutti di un presente in troppi casi estremamente gravoso, senza dubbio non protraibile a lungo, senza danni.